Ho conosciuto William Salice nel 2006; si presentò in studio un signore con un curioso cappellino con pompon ed in braccio un cagnolino che indossava un cappottino coordinato al maglione del suo “umano”.
Lì per lì pensai ad un bizzarro vecchietto, magari incontrato nel corso della campagna elettorale che stavo facendo; lo accolsi nella sala riunioni e dalle sue prime parole il mio pensiero trovò conferma … voleva conoscere la candidata.
Si presentò e poco dopo prese un foglio di carta, lo piegò in due nel senso della lunghezza, scrisse a sinistra Telethon e a destra CYL; accompagnò questo gesto dicendomi “voglio fare concorrenza a Telethon; mi aiuta?”.
Quest’esordio confermò dentro di me la prima impressione … avevo di fronte un tipo un po’ folle al quale, per educazione e per il rispetto che si deve a qualsiasi essere umano, avrei dovuto dare ascolto per un po’ del mio tempo; in quel momento il suo nome ed il suo cognome in me non evocavano nulla.
Mi disse: “Grazie a Telethon si studiano e si cureranno le malattie, CYL cercherà e troverà gli uomini e le donne che faranno quelle ricerche” ed iniziò a raccontarmi il suo progetto; di lì a poco compresi che chi mi stava parlando non era un anziano signore un po’ sopra le righe, ma un visionario, un sognatore determinatissimo.
Il suo sogno nasceva da una convinzione: moltissimi talenti si perdono e dedicano la vita ad altro a causa dell’insicurezza che, spesso, accompagna l’età giovanile; la scarsa consapevolezza di sé, del proprio valore e dei propri talenti porta sovente ad assecondare aspettative e desideri di altri o a seguire una strada già tracciata. Mi chiese: “Lei, da ragazzina, chi sentiva di essere?”.
Questa semplice domanda mi obbligò a raccontarmi e a ricordare le mie inclinazioni; mi resi conto di quanta verità ci fosse nelle parole di quell’uomo. In effetti, ciascuno di noi è nato per essere.
Alla fine, si raccontò lui; mi parlò delle sue origini, del suo inizio come piazzista, della scelta di iscriversi ad un corso per “professioni nuove”; fece cenno alla sua straordinaria vita in Ferrero e al privilegio di aver lavorato a fianco del genio che ne era a capo.
Fui colpita da quest’uomo, dal suo percorso di vita, dalla sua intelligenza, dal suo buffo modo di parlare -per me, a volte, un po’ criptico- … ma soprattutto dal fatto che un uomo così anagraficamente anziano avesse ancora così tanto entusiasmo, voglia di vivere e sogni; mi misi a sua disposizione intuendo che il suo grande sogno avrebbe potuto diventare anche un po’ mio. Salutandomi mi disse, sorridendo: “Sa, io sono un marchettaro!”.
Da quel giorno cominciammo a lavorare fianco a fianco per costituire la fondazione Color Your Life; allestì un ufficetto in una stanza dello studio legale mio e di mio fratello -che, immediatamente, coinvolse nel progetto- ed in esso trovò subito posto una bella foto della sua amatissima moglie.
Leggeva, sottolineava … poi entrava nella mia stanza, commentava e mi lasciava i “compiti” da fare e gli articoli da leggere. Oggi faceva, l’indomani correggeva e, se necessario, cambiava. Incontrò e si scontrò, da uomo quasi comune, con i tempi della burocrazia e con chi non comprendeva il suo sogno e quanto sarebbe diventata importante la sua Fondazione.
Così, giorno dopo giorno il suo sogno prendeva forma.
Per me iniziò un periodo intenso, di crescita umana e professionale perché William aveva la capacità di dare un taglio non convenzionale ad ogni notizia, ad ogni problema o situazione.
In quegli anni di vicinanza quotidiana, capii anche le ragioni profonde della sua scelta: si riteneva un uomo fortunato e desiderava lasciare un po’ di sé stesso ai più giovani e l’obbligo morale di restituire agli altri parte di ciò che la vita gli aveva donato.
Ebbi la conferma che l’obiettivo, qualsiasi obiettivo, si raggiunge con metodo, tenacia e fatica … modificando, correggendo, deviando, cambiando; compresi l’importanza di curare e preparare ogni incontro e di conoscere il proprio interlocutore.
Mi raccontò molti aneddoti di come erano nati alcuni famosissimi prodotti; una volta gli chiesi perché la sorpresa del suo ovetto era racchiusa in un contenitore così difficile da aprire; anche per questo c’era un’affascinante spiegazione.
Insomma, William Salice non lasciava nulla al caso e, forse, non fu casuale neppure il nostro incontro.
Elisabetta Garassini